[alla destra di moccia]

Rega’, non è vita, questa.

Ci avevano avvisato, ma un conto è sentirlo raccontare. Per affidabili che tu possa ritenere i colleghi di mezza Europa e degli States pensi sempre “se, vabbè”.

Un conto è vederlo con i tuoi occhi.

Il nostro è un lavoro delicato, rischioso. Riconosciuto solo se per caso qualcosa va storto, quando tutto fila liscio, mai. Ci sta che un minimo d’importanza ce la diamo da soli. Ci sta anche colorirlo un po’.

Non stavolta.

Sono ovunque.

Sotto il tavolo della conferenza stampa.

Aggrappate ai lampioni.

Dietro le tende.

Scopri il letto e ce ne trovi una.

Sollevi il coperchio del water e ce ne trovi altre tre.

Armadi e cassetti non ne parliamo.

Due erano riuscite a infilarsi dentro i croissant della colazione.

Escono.

Dalle fottute.

Pareti.

E strillano.

Dio pirata se strillano.

Strillano tenendo sotto assedio l’hotel che le senti attraverso i vetri insonorizzati della suite presidenziale.

Strillano nella hall dell’aeroporto mandando in tilt la torre di controllo.

Strillano quando arrivano a frotte alla stazione Termini da tutta Italia. Due della Polfer chiamati a scortare il treno da Milano non fanno in tempo a toccare terra che vomitano sui binari. Hanno strillato per tutto il viaggio, dicono.

Strillano mentre cercano di intrufolarsi in hotel nei cesti della biancheria sporca.

Strillano mentre lo succhiano al lift nella speranza che le lasci salire.

Strillano all’annuncio che il concerto verrà spostato perché le Capannelle non bastano più.

Strillano all’annuncio che forse non basta manco l’Olimpico.

Che cazzo di polmoni c’hanno queste, vorrei sapere.

Le guardi e sembrano degli scriccioletti innocenti, qualcuna non arriva ai dodici anni. Ma non ti puoi fidare, ieri notte, tra quelle arrivate prima per prendere il posto sotto transenna, ci sono stati otto morti e diciannove lacerocontusi. Mica che si son calpestate. Due sono state sgozzate, cinque strangolate col filo elettrico. Una dalla sorella. L’ultima s’è arrampicata su una torre Layher e s’è buttata di sotto urlando “Ho vissuto per questo momentooooh!”.

Un ronzio nell’auricolare. Ai posti.

Ci siamo.

Cambiamo canale ogni trenta secondi con un algoritmo messoci a disposizione dalla Nasa per l’occasione. Abbiamo sei squadre di sosia pronte a ogni uscita, compresa quella del tunnel scavato in due giorni da un’equipe dell’Abate Faria Inc. che porta direttamente dal caveau dell’albergo al palco. Una delle squadre si lancerà in parapendio dal tetto dell’hotel per creare un diversivo, un’altra passerà dalle fogne a bordo di microscopici sottomarini gialli.

Ma queste non le freghi. Hanno sensori dappertutto e l’olfatto di un Bombix mori.

E strillano, cazzo.

L’onda d’urto spalanca le porte e ci depila e denuda completamente. Del concierge restano pochi brandelli di carne e due nappine appese allo scheletro. Tutti gli antifurto della costa tirrenica si producono in una versione death samba di “Real to real cacophony”. In Boemia viene dichiarato lo stato di calamità naturale. I cani niente, già sterminati qualche giorno fa in quell’incidente con Pallotto, una prece.

Loro, impassibili.

Non loro le fan. Quelle piangono, ridono, lanciano mutande e mazzi di fiori, si strappano capelli propri o altrui, svengono con e senza esse. Il tutto senza smettere di strillare.

No, loro-loro.

Sarà che ormai ci avranno fatto l’abitudine, ma non gli si muove un pelo. Si avviano impeccabili, in fila per uno, tra due barriere jersey di muscoli (che saremmo noi, modestamente). Sulle strisce pedonali.

E si fa improvvisamente silenzio.

Giovanni.

Cammina tranquillamente fino alla limousine e ci si accomoda dentro pacifico senza che nessuno se lo fili di pezza.

Spiazzamento nell’entourage.

Riccardo.

Idem come sopra. Se fosse uscito il garzone del bar di fronte avrebbe suscitato più clamore.

Potrebbe essere una trappola, allerta massima.

Ma basta che la prima ciocca brizzolata faccia capolino e il frastuono riattacca decuplicato.

“Paolo, le legioni ti salutano”. “Magno, bevo e tifo Paolo”. “Paolo sposami”. “Pur’a me”. “E io che so’, la figlia della serva?”. “Paolo, la poligamia è un’opinione”. “’sto Penthouse aspetta a te”. “Paolo ottavo re di Roma”. “Ma no, quello era Amadei!”. “Sì, ma ha liberato il posto apposta”.

Arginarle è un’impresa, contenerle impossibile. Le prime file si lanciano a corpo morto nella speranza che il loro sacrificio possa valere lo sfioramento di un lembo di giacca a quelle dietro di loro. Gli idranti non bastano, ai coccodrilli del fossato li prendono a pernacchie, i cavalli di Frisia son più terrorizzati loro.

Per la prima volta nella mia carriera pavento la disfatta. Spero almeno di morire nell’adempimento del mio dovere e di portarne con me qualche migliaio quando lui sporge lateralmente una mano.

Subito gli viene consegnato un panino con provola e salsa piccante.

Fa segno di no con la testa.

Il panino con le sue impronte digitali viene conteso e smembrato tra quelle che ora sono le fiere e mutilate titolari di una briciola ciascuna.

Sporge nuovamente la mano.

Gli viene porto un gelato. Lo lecca perplesso prima che gli spieghino che si tratta di un microfono.

Guarda la folla strillante e straripante. Guarda noi che stiamo per soccombere. Nel frattempo Giorgio è trotterellato verso la limousine dagli altri tra l’indifferenza collettiva. Tre sguardi interrogativi in direzione dell’hotel, lo sportello aperto in attesa.

“Non preoccupatevi per me, ragazzi”, grida per sovrastare il frastuono. “Pensate a salvarvi, vi copro io”.

Occhi negli occhi. Un cenno del mento. È stato bello. La limousine si allontana come fosse una panda qualunque.

Siamo allo stremo. Resistiamo con i fumi delle braccia. Il fair-play è a puttane. Per ogni sciamannata che riusciamo a placcare e convincere pacatamente a ombrellate a tornare indietro, trenta si fanno avanti. Ho in mano una tibia e non so di chi sia.

Picchietta sul microfono. Alza un pollice in direzione del fonico per chiedere il massimo della potenza.

Poi attacca con “Help yourselves!” ed è il delirio.

(non chiedetemi cos’ho scritto perché non lo so. So solo che qualche modo dovevo sfogare l’elettricità prima che arrivasse questa notizia. Belle, bellissime sorprese e persone che se le meritano, esse esistono)