Dice, motivi validi.
I motivi validi son solo tre: un fottiliardo di soldi, una partenza intercontinentale o Robert Downey Jr. nudo nel tuo letto che ti sussurra in un orecchio se per favore potete provare ancora la scena del rodeo, honey please.
Che tu pensi, guarda Robbe’, giusto perché sei tu e fra quattro ore c’hai l’aereo per Los Angeles e chissà quando ci rivediamo, altrimenti io a quest’ora di solito mi pregio di dormire il sonno del giusto.
E se mi svegliano, faccio in modo che dorma anche lo svegliante.
Per sempre.
Sì, perché di motivi validi non ce ne sono mica altri.
Son questi qui e basta.
In qualunque altro caso ci si ritrovi a svegliarsi all’alba, di domenica mattina, d’estate, bisogna essere ben consapevoli di essere degli incommensurabili pirla e star pronti ad assumersi la responsabilità di qualsivoglia conseguenza derivante.
Che poi non ho capito perché parlo così in generale.
Pirla Sider, molto lieta.
Domenica mattina. Estate. Maledettamente presto.
Il sole non è ancora sorto e mi son già guadagnata la copertina di Elle Decor.
Dice, le soluzioni architettoniche, la controsoffittatura, il vetrocemento.
Cazzate.
Vuoi abbellire la tua cucina aprendo un lucernaio nel soffitto?
Metti la caffettiera sul fuoco avendo cura di dimenticarti di riempirla d’acqua.
Dice, hai un talento.
No.
Il lucernaio nel soffitto è creatività, è scienza, è ricerca, è cura del dettaglio, ma non talento.
Alzarsi all’alba e riuscire comunque ad arrivare tardi all’appuntamento perché quando ti lavi inavvertitamente la faccia col dentifricio sciacquarsela porta via tempo, questo è talento.
Il sole non è ancora sorto e ho già fatto fuori un calendario, con particolare riferimento ai santi protettori della campagna, delle oasi faunistiche e delle escursioni.
Io la odio, la campagna.
Le escursioni, mi fanno ribrezzo.
Le oasi faunistiche, non passa giorno senza che firmi una petizione per asfaltarle.
Sono un animale metropolitano. Amo le città. Nelle città ci sono le case, e nelle case ci sono i letti.
Dove la domenica mattina si dorme, porcadiquellavacca.
Il sole non è ancora sorto e mi squilla il telefono.
– Ti pare il modo di rispondere?
– Perchè, mamma, cos’ho detto?
– Hai chiesto chi era con una parolaccia.
– Ma figurati, chffshhhferenza, khhhapito male, ho detto chibhhazzzfrrrrpurè.
– Uhm. Vabbè, era solo per chiederti se vieni alla festa di compleanno di tua nipote, oggi pomeriggio.
– Eh, te l’ho detto che non posso, ho partita.
– E io te l’ho detto che ho fatto un corso di internet?
Oh, cazzo.
– E, uhm, cos’hai imparato?
– A cercare le designazioni sul sito dei mondiali.
– Chhhfzzzzzccidenti, bwwhhhhalleria.
(creare pagina che spiega come a digitare “blog figlia” su Google esploda il computer, segna: urgentissimo)
Il sole è appena sorto e mi ritrovo a fissare dall’alto un manufatto antico e prezioso, una trina modellata dal vento e della salsedine, un merletto brunito dal tempo, un pizzo valenciennes di metallo creato dalle sapienti mazze dei mastri siderurghi, i cui segreti sono ormai perduti.
Dice, ma è una cazzo di scala arrugginita che cade a pezzi.
Bruti. Gente che non ha il minimo senso della poesia, della bellezza, dell’arte decadentista.
Eppoi dobbiamo solo ammirarla da qui, mica dobbiamo scender…
Noi non dobbiamo scend…
Vero che noi non…
MA E’ UNA CAZZO DI SCALA ARRUGGINITA CHE CADE A PEZZI!
C’è bisogno che scenda in dettagli sul seguito?
Lo ribadisco, Darwin non era mica un cretino.
Di undici esemplari di Escursionista Beotis, uno e uno solo riuscirà nell’intento di infilzarsi con l’ultimo spuntone arrugginito dell’ultimo residuo di quello che una volta era stato un gradino, e perpetuerà così la nobile specie di Homo Quod In Futurum Cum Mentula Hic Deambulatibus.
Porto a termine la maledetta escursione con l’eleganza discreta della comparsa su un set di Romero. Gli altri viandanti portano a tracolla una borraccia, io ho una cartucciera portamadonne. Ogni tanto ne lancio una.
Ognuno sarà ben libero di sentire nella propria testa le voci che preferisce. Le voci nella mia testa, stamattina, gridano a raffica “PULL!”.
– Aspetta, cosa sta riportando Spot, una pernice?
– Sembra più un fenicottero. Ah, no, è una madonna.
– Nah, troppo legnosa per grigliarla. Meglio gli hamburger di cammello, lascia, Spot.
Due del pomeriggio. 54°C.
Suono alla porta della prima guardia medica utile.
Altro che “Amo il mio carabiniere”. Bisognerebbe aprire una pagina su Facebook intitolata “Amo la mia veterinaria”.
– Il taglio è profondo?
– Boh, non si capisce.
– Come sarebbe, non si capisce?
– Sarebbe che sanguina un sacco e ho paura di guardare.
– Ma il piede è ancora attaccato?
– Ti pare che me ne vada in giro saltellando con un piede in tasca?
– Che ne so, fai cose strane.
– Io.
– Vabbè, ancora con quella storia delle mollette.
– Detto niente. Men che meno mi sogno di fare commenti sulle persone che si rifiutano di stendere foss’anche una mutanda, se non hanno le mollette coordinat…
– Basta cianciare. INFERMIERAA!! KIT PER AMPUTAZIONE!
– Glauco, sta’ buono che me la fai schiattare d’infarto.
– E che problema c’è? Si prende un capriolo, gli si espianta il cardiocoso a mani nude e si sostituisce.
– A proposito di animali, per caso nei pressi della scala arrugginita trafficano vacche o maiali?
– No, solo pantegane e cani randagi.
– Allora l’antitetanica è meglio farla. Vai alla guardia medica.
– Un’iniezione?! Non se ne parla.
– INFERMIERAAA! SEGA STERNALE!
– Sì, alabarda spaziale, Glauco, il taglio è su un piede.
– Eh, ma ormai l’infezione avrà già raggiunto i centri vitali, ci resta poco temp…
– …usano un ago piccolo, vero? E me la fanno in anestesia totale, sì?
Comunque.
Il medico.
Massima stima, per carità.
Salvare vite, missione nobile, quello che volete.
Ma è un mestiere che non farei mai.
Spesso ci si ritrova a lavorare in condizioni estreme. Vi pare facile presidiare un ambulatorio fresco e silenzioso in un paesello deserto, assediati dal profumo di muggine arrosto che arriva dalla casa affianco e riduce le pareti del vostro stomaco a una poltiglia sbavante e priva di raziocinio?
(sì, lo so, sono una brutta persona. qualche anno fa ho avuto una discussione pacatissima con una conoscente che si era appena laureata in medicina e aveva iniziato a fare le guardie. lamentava di non riuscire ad arrivare a fine mese con soli 1600 euro. e lo faceva spalmandosi il muso di burrocacao marcato Chanel. ora, io sono una bruttissima persona, lo confermo e lo accendo, però sono pronta a rivedere le mie posizioni quando mi rendo conto di agire sulla base di un pregiudizio. non è vero che i cosmetici Chanel non valgono il prezzo esorbitante che costano. qualunque altro burrocacao infilato nel naso l’avrebbe portata a morte certa per asfissia, invece quello Chanel le ha solo risolto il dilemma “respiro o continuo a sparare cazzate?”. amici dei laboratoires Chanel, vi devo delle scuse)
La dottoressa di guardia non apre un dibattito sull’iniquità del trattamento retributivo. Non chiacchiera di cosmesi o di griffe. E nemmeno mi visita, impegnatissima com’è a tirar su col naso. Un compito gravoso, diononvoglia venga interrotto, le conseguenze sarebbero catastrofiche.
Quando mi chiede dove ho la ferita, tiro su la caviglia per mostrarla. Lei sillaba “c-a-v-i-g-l-i-a” sul registro, poi resta a fissarla.
Io sempre con la gamba a mezz’aria. Oriella Dorella, sei ‘na peracottara.
Dopo cinque minuti di concentratissima osservazione diagnostica: sinistra.
Tutto da sola, senza neanche l’aiuto del bollino rosso e verde delle Kicker’s.
Quando azzardo a chiederle se l’antitetanica che mi sta prescrivendo è davvero necessaria, suggerendo che mi dia un’occhiata e magari mi medichi come si deve, digrigna i denti e si sbottona il camice.
Sotto ha una maglietta “Vivisector: no limits”.
Che poi, mi dico uscendo, se medicarsi con un impacco di paglia e sterco di bue andava bene per gli antichi, andrà bene anche per me.
O no?
Due e dieci del pomeriggio.
Temperatura: 59°C.
Scopro la differenza fra farmacia di turno e farmacia di turno 24 ore.
La farmacia di turno è quella che espone il cartello “Pensate di sentirvi male da qui alle 17? Cazzi vostra”.
La farmacia di turno 24 ore, invece, è quella che ti risponde dal citofono che ha finito il farmaco che ti serve.
Due e mezza del pomeriggio.
Temperatura effettiva: 69°C.
Temperatura percepita: 451°C.
Ultima fermata: pronto soccorso.
Tra sudore, polvere, ruggine, sangue, sterpi, cerotti e brandelli di anime di defunti altrui, sembro la bambolina voodoo di uno spaventapasseri. Capisco la difficoltà nel trovarmi una collocazione nel regno animale al fine di registrarmi.
– Nera…ah, no, aspetti, è solo zozza. Facciamo bianco sporco, razza caucasica, donn…uhm, vabbè, scrivo “mammifero”.
Capisco meno la bomba che Enola Triage mi sgancia in faccia senza preavviso.
– Antitetanica, eh? Se la vuole, sappia che si tratta di un derivato del sangue umano, quindi la fa a suo rischio e pericolo.
– Scusi?
– È come una trasfusione, potrebbe essere sangue infetto.
Mi affaccio fuori.
La targa sul muro conferma che mi trovo presso una struttura sanitaria ufficiale, non nella cucina di una mammana.
(a dirla tutta, secondo la targa, la stessa struttura sanitaria risulta intitolata a un santo, che è una cosa che trovo sempre inquietante. Ma è anche vero che siamo il paese la cui strategia per accedere agli ottavi di finale ai mondiali è “butta la palla e prega”)
-Allora, firma?
– Scusi, ma non potrei essere visitata prima? Magari neanche serve.
– Eh no, una volta che ha deciso, ha deciso.
– Cioè, me la fate per forza anche se non serve? Sia gentile, mi faccia parlare con un medico.
– Non si può, sono tutti impegnati.
La sala d’attesa del pronto soccorso è deserta, a parte due signore appisolate in un angolo. Fa troppo caldo anche per farsi male.
– Gli dica che c’è una paziente rompicoglioni che ha la tendenza a diventare rompicoglionissima.
Tempo venti secondi e sono dentro.
– Beh, è vero, l’immunovattelapeschina è un derivato del sangue umano, ma non è il caso di fare terrorismo. Siamo un ospedale, controlliamo tutto. Semplicemente, quel sangue potrebbe contenere un virus non ancora scoperto e lei se lo beccherebbe tutto.
– Fantastico. Alternative? Non so, la butto lì: visitarmi?
– Nicola, scopri la ferita della signora. Ah, ma è superficiale, io al posto suo non la farei.
– Quindi non serve che la faccia?
– Io mica ho detto questo. Deve decidere lei.
– Mi faccia capire, chi è il medico di noi due?
Il medico è quello che segue il mio sguardo andare dal vassoio dei bisturi alla sua coscia, cosa che lo porta finalmente a spiegarmi in dettaglio la vita e le opere del tetano, imprevisti e opportunità del vaccino, elementi di amministrazione delle aziende sanitarie e la ricetta segreta della sua bisnonna per il maiale al salmone.
– Se le faccio una medicazione come si deve, ci metto su anche una monografia di Jenner e le dò di resto due flaconi di benzodiazepine, mi promette che smette di fissare i bisturi?
Se prometto, poi mantengo.
Mentre Nicola dimostra a quelle sciacquette di MilanoVendeGarze come si fa una petite medication blanche, mi squilla ancora il telefono.
Ma stavolta non mi avrete.
Diamo un senso a questo calvario.
– Dottore, una cortesia. Potrebbe, uhm, enfatizzare un filo la medicazione?
– Vuol dire come se la ferita fosse più grave di quello che è?
– Esatto.
– Guardi che posso farle un certificato medico, cosa si deve scampare?
In quel momento, su whatsapp mi arriva la foto di un metroquadro di torta. La mostro.
– Ma che roba è?
Nicola sposta un occhio dalle garze e sentenzia:
– Sembra Peppa Pig che si ingroppa un Mini Pony.
– Iddiobenedetto. Festa di compleanno?
Annuisco.
-Nipote?
Riannuisco.
– Quanti anni?
– Sei.
– Figlia di?
– Dottore, non mi faccia dire.
– Intendevo, figlia di fratello?
– Sì.
– Il che presuppone una…
– Cognata.
– Nicola, molla le garze e ingessa la signora fino al bacino.
(tanti auguri, Nipotastra. un giorno capirai)